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L'incanto del pensiero che diviene racconto

  • Immagine del redattore: Dott. Francesco Marsilli
    Dott. Francesco Marsilli
  • 21 nov 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 29 apr 2021

E ormai da alcuni decenni che gli studiosi si stanno occupando di narrazioni, storie e racconti, indagando la loro importanza come modalità di espressione del proprio pensiero e dei propri ricordi, come la strada lungo la quale si può accedere all'interiorità della persona. Se il sogno è stato considerato da Freud la via maestra per l'inconscio, oggi chiedere di raccontare è uno dei sistemi più diffusi per ricavare informazioni sul punto di vista della persona e questo in campi diversi come il diritto, la medicina, la psicologia, lo studio delle tradizioni orali, eccetera. Ma è veramente così semplice passare dall'azione al pensiero e ripercorrere a ritroso quel percorso che, si reputa, deve aver fatto il pensiero quando è diventato da parola a racconto?

Vi sarà capitato almeno una volta nella vita di avere tante cose da dire, di avere le idee chiare e di avere già capito tutto e poi, quando siete andati a raccontarlo, tutto vi è apparso confuso, le parole non venivano, quello che appariva facile si faceva difficile, là dove aveva regnato la sicurezza improvvisamente subentravano l'incertezza e il dubbio. Gli studenti conoscono bene tutto ciò: studiare tanto, credere di essere pronti per l'interrogazione e poi non riuscire a dire quello che si pensa, rendersi conto di non aver capito quasi niente. Questo fenomeno lo possiamo chiamare "sindrome della falsa comprensione" e ci fa scoprire l'esistenza di una profonda trasformazione dei nostri pensieri: messi in parole, infatti, essi cambiano forma e sostanza. Una cosa è avere dei pensieri in testa, altra cosa è poterli o saperli dire.

La ragione sta nella natura così diversa dei due mondi.

Quando i pensieri risiedono nel mondo interno, "dentro" la nostra testa, hanno la caratteristica di essere veloci, di non dover rispettare regole logiche, di poter fare salti acrobatici per arrivare subito alle conclusioni. Essi sono impliciti, danno per scontati molti presupposti. Siamo in grado di macinare contemporaneamente idee, immagini e ricordi più o meno definiti. Quando invece i pensieri vanno nel mondo esterno e vengono raccontati, si trasformano e diventano parole, sono sottoposti al dominio del linguaggio, a un mondo dominato da proprietà, norme grammaticali e sintattiche e dalla loro infrazione. Questo passaggio da mondo interno a mondo esterno segna una chiara discontinuità tra pensiero e linguaggio e ha delle conseguenze straordinarie sul modo in cui funziona la nostra comprensione della realtà e di noi stessi.

Passando quindi da pensiero a racconto orale si verificano alcune importanti trasformazioni, ne possiamo distinguere almeno quattro.

La prima trasformazione è quella fisica, cioè il pensiero diventa voce mediante apparato respiratorio e fonatorio. Il pensiero diventa qualcosa di fisico, trasformandosi in suoni e parole proferite. L'aria proveniente dai polmoni viene sospinta in direzione di trachea e laringe, l'attività di diaframma e muscoli del torace fa vibrare le corde vocali che impartiscono oscillazioni pressorie all'aria espirata. Subito dopo l'apparato risonatore formato da faringe, cavo orale e fosse nasali conferisce ai suoni provenienti dalla laringe, prima semplici e inarticolati, caratteri specifici di timbro e intonazione per la produzione del linguaggio vero e proprio. Solo diventando fisico, il pensiero-voce può essere ascoltato e diventare mezzo di comunicazione. La voce assume inoltre proprietà di musicalità e intonazione che le permettono di esternare stati d'animo.

La seconda trasformazione si ha con i suoni della lingua di appartenenza che rimandano a specifici significati. Questo momento è curioso e affascinante perché, quando si parla, raramente si sa in anticipo cosa si dirà. Possiamo essere consapevoli del tema e del concetto generale ma molto spesso non abbiamo la minima idea delle parole che useremo. Nel trasformarsi in linguaggio il pensiero si sdoppia in due livelli: uno superficiale, quello fonetico, e uno profondo, quello cognitivo- culturale. I due livelli sono distinti ma connessi perché il modo in cui le parole sono articolate tra loro cambia profondamente il significato del discorso. Questa seconda trasformazione è strettamente collegata con la prima: il pensiero, una volta trasformato in linguaggio, deve sottostare alla ferrea legge della linearità; le parole devono essere pronunciate una dopo l'altra, si possono pensare due pensieri insieme, ma si devono pronunciare in successione. La linearizzazione del pensiero appare come un magico imbuto. Quando sta "dentro" la testa, il pensiero si muove in modo parallelo: si svolgono più pensieri contemporaneamente, aggrovigliati gli uni agli altri. Quando devono essere pronunciati, invece, devono essere ordinati, una "goccia" dopo l'altra. Questo processo di ordinamento ha delle importanti conseguenze sui significati. La perdita di libertà del pensiero trasformato in comunicato verbale si trasforma in un grosso vantaggio perché, una volta linearizzato, il pensiero segue regole proprie della comunità linguistica alla quale si appartiene, e rispettare queste regole lo rende comprensibile. E' proprio questa materializzazione che rende più facile la consapevolezza di ciò che si dice rispetto a ciò che si pensa. Il pensiero ordinato in linguaggio diventa più facilmente ispezionabile e comprensibile. Tant'è che, solo dopo aver pronunciato le parole che pensavamo, diventiamo consapevoli di quello che stiamo dicendo e possiamo confrontarlo con quello che avevamo pensato, accorgendoci se abbiamo detto proprio ciò che intendevamo dire.

La terza trasformazione è un ulteriore livello di complessità del linguaggio. Quando si dice che il pensiero diventa parola ci si riferisce al solo fatto che esso assume le proprietà della lingua del parlante; ma i linguaggi umani possono essere distinti in base a generi come quello descrittivo, quello scientifico, quello poetico, ecc. Quando, ad esempio, usiamo il genere narrativo, il pensiero assume la forma linguistica del racconto o del racconto autobiografico. Il racconto, per sua stessa natura, narra qualcosa di collocabile nel tempo e solitamente concerne vicende umane nelle quali un protagonista intraprende un percorso diretto a uno scopo, impiegando particolari strumenti entro una particolare situazione.

Nel racconto, o meglio nell'azione di raccontare, avviene la quarta importantissima trasformazione. Quando il pensiero diventa non solo linguaggio, ma racconto rivolto a qualcuno, esso non può essere privo di intendimenti legati all'interessare, all'essere ascoltati e all'essere apprezzati in qualche modo da chi sta ascoltando. Quando si pensa lo si fa per sé stessi; quando si racconta, il linguaggio volge a un'altra persona. Dobbiamo cioè "adattare" i nostri pensieri a un dialogo, ascoltare e farci capire: la persona che abbiamo davanti e il modo in cui lei ci ascolterà influenzeranno profondamente il nostro racconto. Il suo sguardo, le sue domande e le sue risposte ci porteranno a modulare in termini dialogici le nostre parole, quindi nostri pensieri e la comprensione di noi stessi. Da questa ultimo concetto possiamo comprendere la portata dell'importanza di essere ascoltati.

Dunque le 4 trasformazioni che permettono al pensiero di essere narrato, unite alle emozioni intrinseche alla narrazione stessa, trasformano il racconto in una forma nuova di comunicazione che facilita la scoperta di aspetti cognitivi ed emotivi prima impensati, proprio perché esiste una discontinuità che impone regole nuove al pensiero. Diventando più esplicito e più articolato il pensiero raccontato acquista proprietà nuove. Ma queste proprietà non sono fisse né stabili, a seconda dei contesti e delle persone a cui si narra si ottengono racconti diversi e quindi consapevolezza diversa.

Un'ultima importante considerazione è quella che raccontare un ricordo modifica Il ricordo stesso. L'evento che viene ricordato e raccontato si modifica ogni qualvolta lo si narra, si arricchisce di particolari o ne perde, si fa più o meno avvincente, più o meno emozionante, tutto sulla base di chi ci sta ascoltando.

Sull'onda di tutto quello che abbiamo detto fino ad ora possiamo pensare che non sia un caso se ad oggi la maggior parte degli indirizzi di psicoterapia consista proprio in questo: riuscire a far raccontare a un'altra persona i propri pensieri attraverso il nostro trasformarci in quello che potremo definire "il miglior pubblico possibile".



dott. Marsilli Francesco



fonti: "Psicologia Contemporanea" n°271


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