All'interno di una situazione così complessa e in costante divenire come è stata la quarantena, gli adulti si trovano a dover gestire la responsabilità di fornire a bambini e ragazzi adolescenti degli spunti di riflessione sull'isolamento in corso. Si tratta di soggetti in un periodo di sviluppo neurofisiologico e psicologico particolarmente rapido e plastico comunemente definito età evolutiva anche se, tra le diverse età, ci sono differenze importanti riguardo alle capacità cognitive, ai modi di ragionare, alle esigenze sociali e alle competenze emotive.
Allo stato delle cose odierno ci troviamo in una fase in cui, dopo una prima e lunga esperienza di quarantena obbligatoria seguita da un un periodo di speranza e temporanea libertà, è diventato evidente che l'emergenza non sia rientrata e che saranno necessari altri sforzi e sacrifici per superare quella che è la prima pandemia globale della storia dell'umanità.
In questa fase può prevalere negli adulti che hanno responsabilità educative, come ad esempio genitori e insegnanti, la tendenza a non parlare con i bambini e con i ragazzi di quanto accaduto, sia per timore di riattivare sentimenti negativi sia per il desiderio di guardare non più al passato ma al futuro. Per quanto comprensibili, queste preoccupazioni e questi atteggiamenti sono, su piano psicologico, infondati e pericolosi poiché non tengono conto di alcuni aspetti importanti: Il primo riguarda la grandissima rilevanza dell'esperienza di prolungato isolamento che si è fissato nella mente, per la sua straordinarietà e peso emotivo, come un insieme di ricordi che accompagneranno i futuri adulti per tutta la vita. Questa profonda fissazione nella memoria autobiografica riguarda non solo gli adolescenti ma anche bambini almeno a partire dai 3 anni di vita, età nella quale è ormai evoluto quello che è stato definito il “sé verbale”, ovvero la capacità di costruire memorie personali consapevoli. Il secondo aspetto su cui riflettere, strettamente collegato al primo, concerne il ruolo della narrazione nello strutturare la stessa memoria autobiografica e, soprattutto, nel dare senso a ciò che si è vissuto. La memoria infatti non è la registrazione e archiviazione della realtà così come è stata esperita: essa è piuttosto una costruzione e ri-costruzione narrativa ricca di tonalità emotive che collega e seleziona gli eventi conferendo loro significati personali capaci sia di interpretare il passato sia di guidare le azioni nel futuro.
Come gli studi sul pensiero narrativo ci hanno da tempo insegnato, il racconto di una vicenda è lo strumento che permette di collegare le esperienze vissute, con tutto il loro carico emotivo, in un insieme coerente dotato di significato. Senza la narrazione infatti le esperienze resterebbero un agglomerato di ricordi privo di senso che, in quanto tale, porterebbe ansie e dubbi. E’ infatti esigenza fondamentale della mente umana comprendere e dare significato a quanto ci accade. Togliere quindi a figli e allievi la possibilità di parlare tra loro e con gli adulti di ciò che hanno vissuto impedirebbe la costruzione nella loro mente di un ricordo significativo e fornito di senso. La prolungata segregazione del 2020 rischierebbe così di essere nella loro memoria solo un periodo di privazione e sofferenza privo di significato nella storia personale. E’ invece indispensabile che l'esperienza fatta, con tutte le sfumature positive e negative del vissute, assuma un significato. Non solo; questo significato deve essere veicolato da una narrazione positiva in termini di immagine di sé, autostima e convinzione nella propria capacità di far fronte alle difficoltà più severe. I bambini, ma anche gli adolescenti, non possono essere lasciati soli in questo compito, pur confidando nelle loro più rilevanti capacità. In tal modo l'esperienza fatta, per quanto negativa possa essere, può essere vissuta come un momento significativo della loro crescita personale e non solo come uno spazio vuoto nel quale non hanno potuto fare ciò che desideravano o peggio, un evento traumatico che faccia influenzare negativamente tutto loro futuro.
Tale rielaborazione deve essere effettuata non solo in famiglia ma anche nella scuola. Se nella prima vi è il positivo confronto con i genitori e gli eventuali fratelli, nella seconda avviene invece in modo complementare; cioè il confronto con chi appartiene allo stesso livello di età e che quindi condivide in linea generale le stesse caratteristiche cognitive, trovandosi grossomodo nei medesimi stadi di sviluppo. A ciò si aggiunge la presenza degli insegnanti e, fortunatamente sempre più spesso, la presenza di educatori e psicologi interni alla scuola. Educatori e psicologi rappresentano infatti una via di mezzo tra genitorialità ed educazione e rappresentano delle fondamentali figure educative delle istituzioni scolastiche.
Nel processo di rielaborazione narrativa in famiglia e a scuola non va sottovalutato inoltre il fatto che anche gli adulti traggono vantaggio dal confronto con bambini e ragazzi. Benché gli adulti non siano più nell'età evolutiva, essi sono comunque soggetti in costante sviluppo grazie alla plasticità neuronale che caratterizza gli esseri umani, come ormai ben sappiamo, lungo l'intero ciclo della vita.
Anche gli adulti si trovano di fronte al compito, sicuramente complesso, di dare un significato all'esperienza vissuta in termini di crescita personale e non solo in termini di perdita e deprivazione. Non sono Infatti le esperienze di per sé ad essere fonte di stress e depressione quanto il significato che gli venne attribuito. Nell’azione educativa verso bambini e adolescenti l’adulto impara ad educare anche sé stesso e ad utilizzare l’energia e le emozioni dei più giovani come stimolo per una ricostruzione narrativa che favorisca un'immagine positiva di sé e della propria capacità di fronteggiare le difficoltà.
Se hai difficoltà nel gestire questa situazione di pandemia con i tuoi figli o genitori, non esitare a contattarmi, insieme potremo capire il modo migliore per aiutarti!
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dott. Marsilli Francesco
fonte: "Psicologia Contemporanea" n° 281
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