Tra i sei e gli undici anni il bambino è sottoposto ad un passaggio fondamentale, quello da un ambiente molto protetto, la scuola dell’infanzia, verso un ambiente meno protetto e che richiede ai bambini una maggiore esposizione di loro stessi, la scuola primaria.
A livello scolastico il bambino sperimenta la valutazione attraverso i voti e la messa alla prova delle sue abilità messe a confronto con quelle degli altri compagni.
A livello sociale aumenta il numero dei compagni di classe della stessa età, sono presenti anche bambini più grandi con cui vedersi durante le ore di ricreazione e aumenta anche il numero degli adulti presenti in classe e nella scuola. Le occasioni di quotidianità extra familiare si ampliano in modo considerevole, basti pensare alle gite di classe, lo sport, compiti e compleanni a casa degli amici.
A livello cognitivo inizia a stabilire regole di gioco insieme ai suoi pari, inizia a sviluppare il senso etico della relazione con l’altro (anche se in modo ancora embrionale) e l’ambiente extra familiare, molto meno protetto, comincia ad avere una forte importanza per la gestione di emozioni e frustrazioni, iniziano infatti qui i primi conflitti tra compagni di classe selezionati nella cerchia degli amici.
A livello emotivo iniziano a comparire emozioni più complesse (come la vergogna) che il bambino inizia a riconoscere non solo in sé stesso ma anche negli altri; comprende e analizza anche le emozioni degli adulti e riesce a modulare i propri stati di animo mostrandoli o nascondendoli in modo più efficace e sulla base delle situazioni.
La plasticità e il ruolo fondamentale del genitore:
Aspetto fondamentale in tutto questo periodo è la plasticità. Il bambino è estremamente plasmabile dato che ha sviluppato capacità e competenze che gli permettono di capire ciò che succede dentro e fuori da lui, coglie pensieri e aspettative di adulti e bambini con cui si relaziona, ma soprattutto è in grado di cogliere aspettative e pensieri dei genitori, capendo cosa questi vorrebbero e cosa si aspettano da lui (vedi l'Effetto Pigmalione!). Qui sta l’importantissimo ruolo del genitore che, per fortuna o per sfortuna, si ritrova ad avere un forte potere di influenzamento sul bambino. Da una parte chiaramente è ancora importante il ruolo del genitore di tutela e protezione del figlio ma, dall'altra, si impone il compito di incoraggiarlo a mettersi in gioco e confrontarsi con quelle che sono le inevitabili difficoltà quotidiane che permettono al bambino che si confronta con esse di sviluppare una crescita sana, di capire quali sono le sue competenze e capacità, di scoprire cosa è bravo a fare e cosa no. Il pericolo di un genitore troppo protettivo (cioè che non permette al bambino di sperimentare le sue capacità di risoluzione dei problemi) e anticipatorio (cioè che anticipa i bisogni del bambino ancora prima che questo li esprima) sta nel fatto che impedisce al bambino lo sviluppo di queste capacità di comprensione e risoluzione dei problemi.
Se un buon equilibrio tra protezione e libertà che il genitore concede al bambino risulta importante, lo è ancora di più quello delle aspettative che il genitore ripone in suo figlio/a. Le aspettative dei genitori possono infatti essere una risorsa ma possono anche essere quello che fa nascere nel bambino una difficoltà. A questo proposito l’esperimento di Rosenthal che ci fa capire come le aspettative degli adulti verso un bambino possano modificare in modo importante il suo modo di agire e di pensare a sé stesso. Anche se può sembrare un concetto innovativo, Rosenthal non ha scoperto nulla di nuovo, infatti questo meccanismo è conosciuto dalle filosofie di tutto il mondo fin dal tempo dei Greci che lo chiamavano “la profezia che si autoavvera”
Queste profezie che si autoavverano possono dare molti vantaggi ma, nel caso in cui siano negative, possono dare origine a molti svantaggi. Sarà capitato a tutti voi di andare alle udienze e sentirsi dire dal professore che vostro figlio è poco portato per quella materia oppure che durante le ore di quella maestra è distratto o ha spesso la testa tra le nuvole; questo crea ovviamente un’immagine negativa di quel bambino e di conseguenza l'adulto inizia ad aspettarsi da lui poca concentrazione e poco rendimento scolastico in quella materia o con quella professoressa. Il bambino non potrà fare altro che aderire alla nostra rappresentazione di lui (sia da parte delle maestre che da parte dei genitori). Questo è uno dei motivi per i quali ci troviamo di fronte ad un vero e proprio furore diagnostico per quanto riguarda i disturbi dell’apprendimento (che riguardano tutto il periodo scolastico) e un aumento drastico degli abbandoni scolastici. I nostri figli non sono diventati più stupidi e la scuola non è diventata più difficile!
Siamo noi genitori che siamo diventati più ansiosi della loro prestazione e più difensivi e anticipatori nei loro confronti, troppo spesso si rinuncia al compito educativo, si rinuncia a faticare per educare nostro figlio e si preferisce ricorrere alla soluzione più semplice ed immediata: farsi dire da un esperto che tu sei un ottimo genitore, che tu hai fatto tutto quello che era necessario, ma ahimè, tuo figlio ha un disturbo dell’apprendimento a livello cognitivo, tu non ci potevi fare nulla! quindi deve essere facilitato a scuola!
Siamo purtroppo in un periodo in cui il possesso di una diagnosi di disturbi di apprendimento è estremamente facile da ottenere e molto spesso ai genitori stessi non viene nemmeno spiegato bene cosa è questo disturbo, come bisogna comportarsi, che conseguenze ha, cosa vuol dire quel test che il figlio ha fatto. La famiglia si ritrova in un fiume di teorie, senza una bussola pratica da seguire.
Trovate qui la seconda parte di questo articolo dove tento di fornire alcuni consigli pratici per la gestione di problematiche legate ai figli in crescita.
Dott. Francesco Marsilli
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