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  • Immagine del redattoreDott. Francesco Marsilli

2° - "Posso farcela da solo": la rassicurante certezza della sofferenza prevedibile

Continuiamo con il secondo articolo della serie "Perché siamo tanto restii ad andare dallo psicologo?". In questo caso la motivazione può provenire da persone che hanno un'alta stima delle proprie capacità di problem solving e, spesso contemporaneamente, una bassa stima dell'efficacia della psicologia.

Seconda Motivazione:


"Posso farcela da solo"


Cercando di osservare queste quattro parole da una diversa prospettiva potremmo tradurle nell'asserzione "posso avere il controllo di ciò che mi succede", se poi le poniamo nel contesto della società moderna ci accorgiamo di quanto queste siano il diretto riflesso di ciò che ci circonda. Nel breve periodo intercorso tra due generazioni il controllo è infatti diventato quella che potremmo definire una nuova ossessione coadiuvata dallo sviluppo di strumenti tecnologici che permettono una sempre più rigida organizzazione della quotidianità, il "controllo" ha cambiato pelle evolvendo da bisogno a necessità.

L'iniziale aumentata possibilità di organizzare lavoro e agenda quotidiana si è trasformata nella necessità, difficilmente evitabile, di controllare anche la sfera interpersonale, temporale e causale delle nostre esistenze.

Già nel 1954 Julian B. Rotter, psicologo statunitense, sviluppò la Teoria del "Locus of Control", letteralmente "luogo in cui si ha il controllo", che si presenta come un costrutto unidimensionale caratterizzato da due poli opposti, interiorità ed esteriorità, distribuiti lungo un continuum, distinguendo quindi un controllo esterno da uno interno. Nel 1973 Robert Levenson, psicologo della California University di Berkeley, contestò questo rigido dualismo tra poli opposti e definì il Locus of Control come costrutto dimensionale nel quale esistono diverse combinazioni differenti dei due poli. Le persone che attribuiscono successi e fallimenti a cause esterne e imprevedibili hanno un maggiore locus of control esterno. Chi, al contrario, crede che siano le proprie azioni a modificare il corso degli eventi, ha un più alto locus of control interno. Quest'ultimo è diventato, più che una teoria, uno stereotipo dell'essere umano moderno, il controllo rappresenta uno status symbol, un biglietto da visita sempre più ricercato.

Ma voler avere un controllo costante di ciò che accade è un'esperienza quotidiana estenuante.

Nel momento in cui diveniamo consapevoli che tutto ciò che ci circonda è regolato dalle leggi dell'entropia, da una costante tendenza al caos e all'incertezza, la nostra tipica reazione è mettere in atto strategie di sopravvivenza quali anticipazione e pianificazione, che sono fondamentalmente forme maggiori di controllo per serrare i ranghi e mettersi al sicuro.

La sensazione, o meglio l'illusione, di poter gestire e controllare molti degli aspetti della propria vita restituisce nell'immediato un forte senso di autorevolezza davanti a sé stessi; ma la costante ricerca di sicurezza evitando situazioni potenzialmente non controllabili è il lato immediatamente percepibile e rassicurante di questo atteggiamento. Il suo corrispettivo a lungo termine è invece la necessità di evitare sempre più situazioni percepite come incontrollabili fino ad evitare tutti gli eventi che non possono essere previsti, o peggio, pretendere di poterli controllare e prevedere tutti. Al controllo di situazioni prevedibili si aggiunge, quindi, il controllo di tutte le possibili situazioni imprevedibili e spesso, data l'impossibilità del compito, il meccanismo (e il nostro cervello) si inceppa.

Nel momento in cui la persona abituata al costante controllo si accorge di non poterlo avere su tutto si ritrova di fronte un panorama desolato, l'incapacità di far fronte al "fattore imprevedibilità" mostra l'inefficacia delle strategie di controllo e anticipazione nel lungo termine scoprendo l'intollerabile sensazione di essere, almeno in parte, in balia degli eventi, vulnerabile, umano.

Un altro simpatico lascito delle strategie di controllo, pianificazione e anticipazione è la scarsa capacità di far fronte ad eventi potenzialmente stressogeni. Questa incapacità è il risultato dell'evitamento sistematico delle situazioni non controllabili, o in altre parole, il ricercato controllo di tutte le situazioni. La capacità di problem solving della persona, fino a quel momento ritenuta impeccabile, si rivela un castello di carte nell'affrontare situazioni differenti da quelle che avevamo previsto, creando situazioni di forte stress emotivo e psicologico anche di fronte a semplici eventi inattesi. Se il proprio valore personale era una percezione basata sull'illusione del controllo, cosa rimane ora della persona persa in un mondo di incertezze?

A questo punto si hanno due possibilità di scelta:

La prima è la più facile: "posso farcela da solo". "Posso farcela da solo" è un concetto che protegge la persona dall'ammettere i suoi errori ad altri e prima di tutto a sé stesso, è la scusa migliore che possiamo raccontarci per prendere la via più semplice, proiettare la colpa all'esterno di noi, il mondo difficile, cattivo, le persone che non ci capiscono (vedi la prima motivazione "sono gli altri che hanno un problema"). Questo si traduce in un cieco irrigidimento delle proprie fallimentari strategie. Il non cambiamento, l'immobilità, la sicurezza di un comportamento già sperimentato è più forte della consapevolezza che questo porterà ad ulteriore sofferenza.

E' il più classico degli autoinganni di noi stessi: è più rassicurante la certezza di una sofferenza (o di un fallimento) che l'incertezza di un cambiamento.

La seconda strada è la più difficile, ma l'unica che ci permetterà un reale cambiamento: "ho bisogno di aiuto". Ammettere a sé stessi e agli altri la necessità di dover cambiare, la fallibilità (e non il fallimento!) dei propri schemi mentali, vedere nel controllo e nell'anticipazione la causa della stratificazione dei propri problemi, ma soprattutto prendersi la responsabilità dell'aver costruito con le proprie mani la propria sofferenza. Chiedere aiuto è il primo passo verso la strada che porterà a cambiare obiettivo dei propri pensieri: gestire il "dopo" e non il "prima". Non siamo abituati a farlo perché, a forza di anticipare, non abbiamo dovuto fare i conti con le cose andate male e non facendone abbastanza esperienza abbiamo continuato a vederle come intollerabili; e così, come bambini capricciosi che pensano di fare i furbi, abbiamo evitato ogni possibile punizione, privandoci della possibilità di imparare dai nostri errori.


ti è piaciuto questo articolo? leggi anche il 3° della seria: "Andare dallo psicologo è da sfigati": la lunga ombra dell'ignoranza

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Dott. Marsilli Francesco




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